(UPD) Disegnatori italiani ed animatori giapponesi.

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La questione "quanto vengono pagati gli autori di fumetto" è scottante, tra gli addetti ai lavori.
Io ci aggiungerei anche "come vengono trattati gli autori di fumetto".

Le risposte, mediamente con rare punte di eccellenza, sono rispettivamente, per l'Italia, "poco" e "come nullità rimpiazzabili" (anche quando non lo sono).

Com'è come non è, nella patria dei manga e dell'animazione (il Giappone per chi ha vissuto sotto un sasso fino ad oggi), hanno anche loro dei bei problemucci con il trattamento dei lavoratori dell'arte di consumo.

Secondo questo articolo il governo giapponese ha promosso degli incentivi per "allevare" degli apprendisti nell'animazione.

Perché? Perché ce ne sono sempre di meno.

Perché? Perché sono pagati poco, a cifra fissa (le case di produzione non riconoscono royalties agli autori e le case di produzione ricevono solo le briciole degli sponsor, che pagano invece i network TV).
Inoltre, le case di produzione sono controllate da delle elite stagnanti che non azzardano innovazioni. Non lo dico io, lo dice la Harvard Business School, come riassunto da questo articolo.


Esattamente, quanto poco sono pagati?
In un'inchiesta di un paio d'anni fa (del 2009), la media era di 1.100.000 ¥ per gli animatori tra i 20 ed i 30 anni, il doppio circa per quelli tra i 30 ed i 40.
A questo si deve aggiungere la mancanza di contratto scritto per il 47% di loro e la mancanza di molti benefit aziendali (tipo la tradizionale visita medica pagata dalla ditta, assente nel 38% dei casi).

Al cambio dell'epoca, non troppo diverso da quello odierno, circa 10.000 € l'anno.

Parametrando per il PIL pro capite rapportato al potere d'acquisto, è come se un disegnatore da noi venisse pagato 9.400 €/anno.

L'equivalente di 9.400 €/anno,
a persona, tra i 20 ed i 30 anni,
è abbastanza basso da far
estinguere una categoria di lavoratori.


Le condizioni, come si vede, non sono molto diverse tra qui e là, con la differenza che l'export d'animazione in Giappone è un'industria che ha una capacità di generare fatturati interessanti per un grande o medio investitore. Il fumetto italiano non lo è, ed i contratti scritti sono una bestia ancora più rara che in Giappone.

Ora, anche il fumettista italiano si avvia all'estinzione come l'animatore giapponese?
La situazione giapponese è una premonizione della situazione italiana?

È l'amore per il lavoro (che sconfina nella romantica idea dell'artista che lotta Contro Il Sistema... facendosi sfruttare ancora di più) o l'ignoranza delle condizioni di lavoro che ci si può aspettare che fa sì che le scuole di fumetto non siano già deserte?
O è speranza di emigrare verso pascoli più verdi all'estero?

A voi la parola, autori.



UPDATE: avevo erroneamente scritto "Parametrando per i salari medi rapportati al potere d'acquisto" anziché "Parametrando per il PIL pro capite rapportato al potere d'acquisto". Scusate l'errore, ma il ragionamento e le cifre non cambiano.

1 commenti:

Luca Bonisoli ha detto...

"L'equivalente di 9.400 €/anno, a persona, tra i 20 ed i 30 anni, è abbastanza basso da far estinguere una categoria di lavoratori."

Ma certo! Calcolandolo come stipendio NETTO (non voglio nemmeno pensare che sia al lordo delle imposte) si tratta di meno di 800 €/mese! Se da quella cifra sottrai i costi di vitto, utenze e magari pure un affitto, cosa rimane? E' naturale che nessuno lo voglia più fare!

Per quanto riguarda l'Italia, da quel poco che vedo ho registrato soprattutto due atteggiamenti: c'è chi lo fa più che altro per passione (finchè riesce a permetterselo) e chi lo prende come un periodo di "tirocinio" che prima o poi sfocerà nel vero lavoro (quello all'estero).

Per le scuole di fumetto, invece, secondo me il fatto che non siano ancora deserte è un misto di romanticismo e disinformazione. D'altronde gli studenti sono spesso ragazzi giovani che tendono a "buttare il cuore oltre l'ostacolo", ma non hanno mai dovuto misurarsi davvero con i problemi dell'autosostentamento e del costruirsi un futuro.